Ipocondria da covid 19

“Ognuno porta in sé stesso paure e desideri illimitati”, è con questa frase che Epicuro ci trasmette con immediatezza fulminea ciò che si riscontra in ambito clinico: l’ansia è un termine diffuso, usato per descrivere sensazioni per lo più negative e trasversale a diverse sintomatologie presenti nei disturbi psicopatologici.

Ciò che è emerso negli ultimi due anni a seguito della diffusione della pandemia da COVID-19, è stato un incremento delle sintomatologie legate all’ansia per la paura delle malattie o alla preoccupazione di potersi ammalare. Nello specifico tali sintomatologie fobiche si ritrovano principalmente in patologie come l’ipocondria e il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) della contaminazione. Prognosi non certe, difficoltà nella diagnosi e nella cura, misure di salute pubblica che violano le libertà personali associate all’incertezza rispetto a un futuro non programmabile, hanno senza dubbio contribuito a un diffuso disagio emotivo e ad un aumento delle malattie psichiatriche.

Alcuni studi (Wang, C.; Roger C. Ho et al., 2019) che si sono occupati di indagare l’impatto emotivo della pandemia sulle persone durante la prima ondata mostrano come ci sia stato un notevole aumento dei fattori di stress in misura moderata o intensa sul loro stato emotivo (53,8%) e di ansia manifestata con sintomi di grave intensità (28%). Una ulteriore ricerca (Perna et al.), somministrata a più di 2400 persone e promossa dal dipartimento di Scienze biomediche di Humanitas University, effettuata dal Prof Giampaolo Perna e Francesco Cuniberti studia l’impatto negativo da Covid-19  sulla salute mentale della popolazione italiana e mondiale. I risultati mostrano che, oltre a un incremento del disagio a livello relazionale con figli, partner e nel contesto lavorativo, il 90% degli intervistati ha riportato di avere in qualche misura paura di infettarsi, circa il 77% aveva paura di poter infettare altre persone in qualche modo e il 65% ha dichiarato di avere paura di morire nel caso dovesse contrarre il virus; ciò ha portato all’aumento dell’utilizzo degli ansiolitici (10%) e  antidepressivi (19%). L’evidente impatto emotivo si riflette anche come aggravante all’interno delle patologie psichiatriche: il 28% degli intervistati nel precedente studio, infatti, lamenta sintomi ossessivi compulsivi disturbanti legati al proprio funzionamento quotidiano.

Ciò che evidenziano numericamente questi dati mostra ciò che nella pratica clinica è visibile da tempo. Quante volte nella vita di tutti i giorni, infatti, vi è capitato di sentire amici, parenti, pazienti affermare: “ho ansia, mi sento un magone allo stomaco, mi sento una sensazione di chiusura in gola …” e come ci suggerisce Eraclito “nulla intimorisce di più l’uomo delle proprie sensazioni”. Sono questi, infatti, gli stati descritti come negativi, devastanti, paralizzanti e limitante associati a una angoscia duratura dello stato vivente dovuta alla condanna di un futuro incerto.

La paura delle malattie, così come ci suggeriscono gli autori Nardone e Bartoletti, crea grande sofferenza, fa vivere male fino a poter limitare seriamente la sfera personale, famigliare e lavorativa. Se è vero che “Ogni malattia inventata è una malattia reale” (Thomas Bernard) quando la paura lascia il posto a una realtà dove la contaminazione e la malattia diventano tangibili, la situazione può diventare ingestibile.

Nel panorama del COVID-19, una delle difficoltà da gestire è stata proprio la paura ipocondriaca di contrarre il virus. Ma come si strutturano e si mantengono la paura di ammalarsi di una malattia mortale e la compulsione da ossessione di essere contaminati? Entrambe le patologie hanno in comune una matrice fobica o di percezione, tecnicamente, di potersi ammalare di una malattia mortale. Ciò che si differenzia, tuttavia, sono le reazioni messe in atto dalle persone per tentare di gestire questa paura nel modo efficace possibile. Secondo il modello psicoterapeutico di Terapia Breve Strategica di Giorgio Nardone ciò su cui è importante porre attenzione quando abbiamo a che fare con un disturbo non è tanto il meccanismo di formazione dello stesso ma sul suo mantenimento; ovvero, spostando l’attenzione dal “perché” al “come funziona”.

Il modello Strategico, infatti, si basa su un costrutto trasversale ai problemi di diversa natura non solo clinica che è quello di “Tentata Soluzione”. Il primo a formulare tale costrutto fu Watzlawick spiegando in teoria e verificando, attraverso la sua pratica clinica, come fossero proprio le soluzioni che le persone mettevano in atto per cercare di risolvere un problema a complicarlo maggiormente. In questo caso, nello specifico, si parla di Tentata Soluzione disfunzionale per meglio porre l’accento sulla mancata funzionalità della soluzione trovata. Mettendo in atto una soluzione a un problema, infatti, ma non mantenendo la flessibilità di cambiare la posizione a seconda del diverso contesto o del diverso tempo in cui si applica, non solo non si risolve il problema ma si persevererà con un comportamento o un pensiero tanto da complicare ancora di più la situazione. Tale concetto, che può sembrare solo a primo impatto contraddittorio, in realtà, ha trovato con l’avvento degli studi delle neuroscienze nell’ultimo decennio, dimostrazioni neurobiologiche sulla plasticità cerebrale. Doidge, per esempio, definisce questo costrutto come “paradosso plastico” e ci spiega come il nostro cervello e i nostri neuroni funzionino secondo il principio di “economia mentale” facilitandoci scelte, agevolandoci nelle decisioni e impedendo così il sovraccarico cerebrale, tuttavia tale caratteristica comporta anche aspetti negativi che si manifestano a livello comportamentale in un irrigidimento su una scelta univoca. Pasqual Leone, riprendendo questo concetto neuro-scientifico, ci spiega con una immagine di apparente semplicità ciò che succede in questi casi al nostro cervello attraverso la metafora di uno sciatore in cima a una montagna che deve scendere percorrendo una via. Il primo percorso nella neve fresca creerà un solco che mano a mano che verrà ripetutamente battuto più e più volte avrà il duplice effetto di facilitare e velocizzare la discesa del nostro sciatore ma allo stesso tempo di creare dei profondi solchi che nella successiva discesa lo imprigioneranno sempre più rendendo così difficile percorrere strade alternative. Così come lo sciatore rimane imprigionato in una strada percorsa più volte perché più profonda così la nostra mente ci porta a ripetere più facilmente i comportamenti e i pensieri che facciamo ripetutamente piuttosto che scegliere strade diverse anche se più funzionali al nostro obiettivo. Questo funzionamento sinaptico cerebrale, così come anticipato precedentemente, ha la finalità di non sovraccaricare ulteriormente il cervello e velocizzarne il suo funzionamento ma, d’altro canto, come ci suggerisce Ippocrate “anche la migliore medicina, se sovradosata, diventa veleno” e il suo risvolto negativo consiste proprio nella possibilità di irrigidirci sempre più in un percorso anche se non sempre funzionale.

Nel modello strategico applicato ai disturbi psicopatologici, per conoscere il funzionamento dei problemi ci avvaliamo di questo riduttore di complessità che sono le tentate soluzioni. La ricerca intervento applicata negli ultimi 25 anni a migliaia di casi ha evidenziato le principali soluzioni disfunzionali comunemente adottate dalle persone in ciascuna patologia psicologica. Nel caso specifico dell’ipocondria le Tentate Soluzioni fallimentari specifiche sono: ascoltare e controllare continuamente ogni segnale del proprio corpo, sottoporsi a frequenti controlli medici e/o consultare specialisti o internet e parlare continuamente del problema con gli altri. Nel disturbo ossessivo compulsivo, invece, le tentate soluzioni disfunzionali principali sono l’evitamento delle situazioni temute, la richiesta d’aiuto e di rassicurazioni e la messa in atto di rituali compulsivi finalizzati a combattere la paura.

Secondo le parole di Aristotele “noi siamo quello che facciamo ripetutamente” e così anche nella strutturazione di una patologia ciò che è importante tenere in considerazione, quindi, è proprio come azioni o comportamenti anche se inizialmente ragionevoli e corretti, se prolungati, ripetuti e esasperati nel tempo potrebbero strutturare un vero e proprio disturbo fino a livelli invalidanti.

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